La Luna (Selene per i greci), è donna. E come ogni donna possiede una faccia nascosta che l’orbita sedentaria delle abitudini maschili non riesce mai a cogliere. L’ineffabilità del volto femminile racchiude il duplice, l’alter ego, ciò che non appare, non si appalesa. La presunta luce riflessa, satellitare, cede in realtà il passo ad un prisma cromatico che avvolge in modo stupefacente l’oggetto irradiato. Perché il plenilunio non elimina integralmente coni d’ombra e l’eclissi integrale, fa comunque permanere parvenze ottiche. Crescente o calante, lascerà sempre intravedere un territorio inesplorato, un Mare dell’inquietudine che nessun argonauta ha mai potuto sfiorare. Il suo cinereo spettro non serve a scoprire ma a velare. Troppa luce acceca, come già Pascal intuì. Perché la luna allo zenit meridiano altro non è che la rappresentazione dell’ossimoro ottico, l’emancipazione da un sole ingannatore la cui enfasi non potrà mai spegnere la sua luce, ovvero il moto irregolare, il sorriso estraniato, la bellezza femminile mai immortale mai posseduta
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celeste,
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