DONNA AFGANA
Pastello, tempera e acrilico- 100X70
(a cura di Maria De Michele)
Per Mario Gianquitto, definito “il narratore di anime”, nella filosofia pittorica l’immagine diviene spesso l’incipit di una sperimentazione. In questo dipinto “Donna Afgana-Dalla natura alla ragione”, realizzato con la tecnica del pastello, tempera e acrilico, l’artista recepisce in un istante l’immagine fotografica che diviene di suo interesse per una ipotetica composizione.
Ed ecco che Sharbat Gula, ritratta da McCurry, diviene fonte di ispirazione di un’idea, di una necessità, quella improvvisa ed ossessiva di trasformarla, far sì che una realtà obiettiva diventi astrazione, mezzo di dolore, di fede, di speranza. Gianquitto la ripropone, le ridà uno spessore intimo, una nuova identità. La sua è una tra milioni di voci che urla ‘BASTA!’ alla pesante catena della tirannia. La poetica iperrealista dell’artista, non è un ripescaggio nel passato per una gratificante vanità, la figura di Sharbat positivamente inquinata, volutamente spersonalizzata, in assoluta asetticità, è resa più vera del vero, cambiandole espressione, colore delle pupille, portandola al di là della fredda perfezione imitativa. Gianquitto infonde al personaggio la giusta istanza emotiva, attraverso la tecnica impalpabile e delicatissima del pastello. Dal vero esasperante, usando i mezzi tradizionali pittorici, intreccia una lotta di abilità, sospendendo il soggetto rappresentato in una sorta di limbo, in una irrealtà somigliante, verosimile, ma con una diversa connotazione.
Il pregiudizio della verosomiglianza ha sempre stravolto i reali valori artistici, ma Gianquitto nel dipingere è del tutto disinteressato alla “copia”, essa è solo occasione imperdibile per realizzare un’esperienza di trasfigurazione con il solo intento di ricreazione, spogliare la figura dai suoi caratteri mortali, deformarla rispetto all’apparenza, idealizzandola.
Le mani, in primo piano, emergono dall’ opera, fuse in una sintesi straordinaria dove forma e contenuto divengono puro atto creativo, metafora di impossibilità di espressione.
Dipinta in grandezza naturale “Donna afgana” ha certamente un contenuto drammatico, nulla di illogico nella composizione che persegue in perfetta armonia con il pensiero e il temperamento dell’artista. L’osservatore potrebbe non cogliere il legame con gli altri elementi, ed è questo un atteggiamento errato, chi fruisce di un’opera d’arte deve chiedersi : Cosa ha voluto esprimere l’artista? Perché è rappresentato un Cristo? Perché un flash di un atto di violenza? Il vero valore di un dipinto non è quello che appare ma è la percezione del conte-nuto poetico, sociale, intimo e misterioso che si concretizza attraverso la forma. Nel “frammento” in alto a destra è rappresentato il ‘Cristo sulla croce’ e una figura femminile occidentale di oggi a Lui rivolta. C’è in questa parentesi il senso dell’essere come vivente, la relazione di un evento storicamente accaduto “la crocifissione” e la presenza di una donna che guarda al futuro, illuminata dalla Sua verità. Una superba metafora “Dio che si offre alla relazione con l’umanità”, alla donna, nel caso specifico, offrendole dignità ed identità. Dio che in ogni tempo, oggi, come nel passato e nel futuro è stato, è e sarà sempre accanto all’uomo.
Commenti 0
Inserisci commento