Deadend
Qualcuno cercava di toccare l’acqua ma riusciva a fare solo qualche metro sulla sabbia spazzata dalle onde, nella risacca turbinosa.
Soggiogato dal vento, dal mare, dalla luce, mi avvicino il più possibile al limite della battigia e scatto rapidamente 12 foto con la mia camera stenopeica, a mano libera.
Questa camera ha un piccolo sportellino sul fronte che agisce come otturatore: se non viene aperto del tutto, resta la traccia sulla pellicola.
In camera oscura, dopo, mi accorgo dell’errore: gran parte delle immagini hanno, a destra, una parte nera, prima piccola ma poi sempre più grande a coprire, alla fine, la metà del fotogramma.
Stampate, riordinate ed visionate le foto sul tavolo, intuisco una straordinaria affinità tra quell’errore in ripresa e la realtà fotografata: così come noi siamo esposti ai capricci imprevedibili del destino - che come un’onda ci può spazzare via o farci cambiar direzione all’improvviso – così l’esito visivo di questo “sportellino-otturatore” mal chiuso rappresenta l’imprevedibilità della vita che, inevitabilmente ed in momento ignoto, ci porterà in un vicolo cieco, dead end.
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