“Perfino il suo spettro, va dunque in frantumi. Ancora, del paradiso d’acciaio che scintilla al suo indelebile crepuscolo, rivedo foreste di cavi e tubi e camini, praterie d’asfalto come persistenze immemori – resistono al calore d’un sole d’incendio: restano, malgrado tutto, come grafite all’ombra del cielo. Sono ciminiere e campanili, fabbriche e cattedrali – dovunque, nel silenzio sconfinato, cedono il loro smalto alla ruggine, alla materia – viva –, all’autografo del tempo. Crolla e s’infrange ogni respiro d’eterno – è di nuovo esatta la vita, nel suo concreto passare. È di nuovo metallo il metallo: il giardino promesso, adesso, perduto.”
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celeste,
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