Ina Nikolic proietta se stessa al di là della parete dell’immaginario, danzando sul limite della percezione della bellezza, le sue performances sono come coreografie dei corpi angelici. Nel suo rappresentare le immagini iconologiche della bellezza ne percepisce l’intima contraddizione rappresentando su se stessa sia l’assoluta necessità di apparire dell’edonismo imperante, sia la pura visione estetica della ricerca della perfezione della forma. Da questa lacerazione, da questo dualismo fra ciò che pensa e ciò che effettivamente sente che vive la bellezza della sua autorappresentazione; una lacerazione talmente forte da diventare problematica di tutte le donne del terzo millennio sempre sospese fra l’obbligo della bellezza corporea e la necessità del “sentire” la verità dei mondi interiori.(..)..Tutto finisce per essere stratificazione di memorie e di percezioni che partono dall’istinto primordiale per divenire mondo immateriale a se stante.(..)Come sosteneva Dostoevskji, solo l’immagine della bellezza, anche soltanto per un attimo, può darci l’illusione di poter salvare il mondo.
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celeste,
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