Caracalla
Molti anni fa, quando ero ragazzo, il cardine della mia personalità in fotografia significava, soprattutto, il disvelarsi della luce; m’interessava questa, era lo studio della pellicola quindi più che il fascino della macchina fotografica (già il sostantivo macchina contiene un mondo psichico complesso da risolvere). La mia ricerca non di moda, allora negli anni 70 in camera oscura si cercava la perfezione dei grigi, la composizione, i grandi contrasti a effetto, le scene drammaticamente veniali, al contrario in me, ero un ragazzo e si andava a intuito, questo genere prezioso di mettere tutto in massima definizione non mi diceva nulla: era da “impostori”. Ero interessato a che la scena fotografica si presentasse, positiva, in vita, con ragione, con la positività d’incontrare la ragione stessa, nel disvelarsi, mentre questa si manifesti, si riveli e prima che si oggettivizzi rappresentandosi come evento che si faccia sostanza alienata. Prima, diciamo che la “nebbia” si alzi e tutto il comprensibile -il tutto in vista- per paradosso.. sparisca annullandosi da se. Il tutto, mi dicevo, diviene invisibile e in fotografia si cercherà allora una “caricatura” per farsi’ che emerga una sorta d’eterno luogo comune, una sovrastruttura tecnicistica, soluzione questa mi sembrava, appartenesse più al pensiero negativo, alla dialettica che alla ragione. Ed ecco che la soluzione “all’invisibile,” mi dicevo, diviene la tecnica di scena, la predisposizione delle luci, le ombre, le prospettive, tutto il mondo del mestiere che mi è parso da subito, forzatura. Il rischio era e forse è, il manierismo, la costruzione dell’evento spacciabile, la mistificazione, oppure, quell’io-tu che se pure inevitabile per l’evidente storia dell’essere diviene il solo vendibile, l’accattivante. [ Quale strada allora?] Ciò che m’interessava era aprire le prospettive, annullare l’io, dimenticare l’obbligatorietà di alcune posizioni, generare incontri. Naturalmente è uno stato scomodo, rischioso e che può condurre al baratro dell’inconcludenza, necessiterebbe non di uno scatto ma un’intera vita di “scatti” e che questi poi ritornino nel meritato oblio senza altra definizione che la vita stessa nella sua ragione.
Un uomo concreto e generalmente in fotografia è l’uomo concreto che discorre, comprensibilmente troverà questa mia una posizione estrema, impraticabile se non riferita al reportage, oggetivizzandola, in una possibile narrazione, cosa di cui sono conscio. Da ragazzo, mi è parso d’intuire, bisognava prima stabilire i termini, il postulato necessario; infondo l’adolescenza e la giovane età a cosa servono?
Foto del 1978 Leica analogica pellicola tri-x tirata a 1600 asa
Commenti 5
Sembra una Miniatura del tardo Quattrocento.
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