Niente è più come una volta
Il concetto fondamentale intorno a cui la teoria politica di Hobbes si organizza è quello di uno “stato di natura”, in cui gli uomini, a causa della loro uguaglianza e della limitata possibilità di appropriarsi delle risorse naturali, conducono una continua e reciproca lotta per la sopravvivenza. Questa situazione naturale sconfina inevitabilmente nella guerra che gli uomini sempre si muovono, per competizione, per paura, per desiderio di gloria. In quel periodo non esiste progresso se non nell’arte bellica, e gli uomini sono l’uno rispetto all’altro homo homini lupus. Da ciò consegue necessariamente che le nozioni di giustizia e di ingiustizia non hanno un posto; al massimo, giuste o ingiuste possono essere dette le azioni che servono o nuocciono, utilitaristicamente, alla difesa della propria vita. A questo punto si colloca la grande rottura tra il pensiero di Hobbes e la tradizione giusnaturalistica: nel rifiuto di definire il bene ed il male in quanto tali, Hobbes esce dal pensiero tradizionale assumendo una posizione sostanzialmente eversiva. Poiché il bellum omnium contra omnes è insostenibile, gli uomini desiderano la pace; la ragione mostra quindi loro come procurarsela. Questa prima legge di natura non ci indica però il giusto o l’ingiusto, ma l’utile ed il dannoso: la legge di natura non è altro che la nostra razionalità, che è strumentale rispetto al fine primario di conservare la nostra vita.
Nel XIII capitolo del “Leviatano” Hobbes propone una distinzione tra due aspetti della guerra, quella combattuta e quella temuta, che noi oggi chiameremmo “guerra fredda”. La guerra temuta ha conseguenze diverse nel caso degli individui ed in quello degli stati. In quel “periodo di tempo, in cui la volontà di contendere è abbastanza nota” la situazione impedisce agli individui qualsiasi progresso: non sviluppo di attività, non agricoltura, non navigazione, importazione esportazione o produzione qualsiasi; invece nel caso degli stati, che si trovano “nella posizione dei gladiatori”, la situazione si rovescia perché la politica degli armamenti sviluppa l’industria, per cui “non ne segue quella miseria che seguirebbe dalla libertà individuale”. Con tutto ciò la guerra non è continua, non esistono solo battaglie; ma la guerra è la possibilità sempre presente.
Ed allora, è veramente cambiato qualcosa? L’egoismo umano non la fa più da padrone?




















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