Mater Dolorosa
Una piramide (ascesa verso il cielo) diventa sepoltura per gestire la resurrezione. Base quadrata, simbolo di perfezione, racchiude in se i 4 angoli del degrado attuale:
terra = sotterrati
stabilità = fissità
sostanza = apparenza
immutabilità = caducità
La piramide termina con l’Uno ovvero il Divino. Questo concentra in se il Delta Luminoso: la nascita dell’ambizione, dell’esistenzialismo distaccato.
L’istallazione si prefigge di interpretare i segnali più volgari che la modernità ci propone. La vita svenduta attraverso stimmate in ferro e poi addosso metri e metri di plastica organizzata come si prepara un cadavere all’obitorio. Quella bruciata è l’epidermide di un’epoca, tutti figli dell’imitazione dell’unico, una copia della copia di un’infinita voglia di unicità. Distanti dall’originale, si ricicla persino il dolore.
Le fiamme hanno lasciato lacrime, muco e un’immagine: l’inferno è sodomizzare il proprio corpo alla competizione; l’unicità si riduce all’onestà brutale di rimanere dei singoli immedesimati in altri singoli.
Quattro angoli di “ultime possibilità” ingabbiate nel ruolo di comparse perché si brama l’apice, la luce, la nascita. Il riflettore rileva il teatro non-stop del momento che passa: patologie trasmesse dall’amore, il boom piramidale e tizzoni di corpi arsi dal dolore di bisogni emotivi assenti.
L’artista è qui ad ingoiare fumo e a raccontarsi di come siamo arrivati fino a qui. Pressato tra il ferro, soffocato tra la plastica, questo è il mondo in cui viviamo – flash – e noi mutiamo con esso, mutiamo con il – flash- DOLORE.
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