DIVINE CRACKS
L’idea del progetto “Divine Cracks” nasce come un’ode all’essenza della femminilità, alla donna intesa nella totalità delle sue qualità di generatrice/oggetto del desiderio maschile/reggente dell’ordine universale. Avvicinandosi al dettaglio avviene un’astrazione dal resto del corpo, astrazione che viene sottolineata dal forte contrasto della stampa il quale cancella i dettagli umanizzanti (peli, pori, nei…) rendendo la pelle bianca come una statua di marmo, finalizzando così l’idealizzazione della divinità femminile (“divine”). Il dettaglio viene solo quasi impercettibilmente rivelato nel nero della linea limitando la tensione erotica ad un livello non immediato, quasi subconscio. Il risultato crea una spaccatura nell’idillio bianco della carta (“crack”), una rottura delle certezze dell’universo maschile, un sottile disagio, un lieve imbarazzo… Il medium fotografico ci ricorda però che è tutto reale, raggiungibile, toccabile, terreno. Le singole immagini non hanno nome ma solo un numero, rendendo i soggetti equivalenti ma allo stesso tempo diversi uno dall’altro, unici.
"PARI SOLO ALL'INIZIO
TI FINGI FORMA E FORME RUBI
PUNTO DI ROTTURA
LUCE CHE ACCECA E TOGLIE LA VISTA
TUTTO SI OSCURA
E TORNA LA LUCE"
Pallade Atena, di Anita Cherubina Bianchi
Il progetto "DIVINE CRACKS" rappresenta l'idealizzazione dell'essenza femminile come unica fonte di rinascita creativa.
Il forte contrasto della stampa unito al dettaglio dell'inquadratura generano un'astrazione del corpo umano, quasi fosse la statua di marmo di una divinità classica ("divine").
L'idillio bianco viene messo in crisi dal taglio netto (ispirato al gesto rivoluzionario di Lucio Fontana) della nera linea anatomica dentro la quale il particolare umano viene rivelato solo impercettibilmente, rompendo con un sottile disagio le certezze dell'universo maschile ("cracks").
Il medium fotografico ci ricorda che è tutto reale, quidi raggiungibile.
Aliocha Merker
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