L’incanto attraversa il recente lavoro fotografico di Giampiero Marcocci, giocato dentro la complessa struttura dell’installazione dove il volo e il sogno, la spazialità aerea e l’immensa distesa del mare, i manti nuvolosi e i panorami innevati descrivono i frammenti di un territorio interiore. Grazie alle tecnologie digitali, l’autore fa apparire palazzi incantati tra boschi, materializza città lontane come miraggi sull’acqua, si sospende tra le nuvole a osservare, da altezze vertiginose, il creato. Raffinate composizioni, come gli autoritratti Prove di Volo, si confrontano con scatti casuali realizzati senza guardare nel mirino fotografico, cercando di mettere in contatto l’energia istintiva e il sentimento dell’infinito. Per l’artista su tutto aleggia la ricerca di un “angelo necessario”, messaggero umanizzato e imperfetto che si richiama a Paul Klee, ma anche al filosofo persiano Sohravardi quale intermediario tra l’uomo e la sfera celeste. L’immagine poetica di una sfera di cristallo abbandonata sulla neve ci ricorda, come in sogno, le sequenze finali di Citizen Kane dove l’enigma dell’esistenza si dipana nel recupero di una memoria lontana.
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