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"Fingi solo un attimo, prima di consumarmi, lasciami solo, lasciami solo un respiro, prima di gettarmi…"
L’immagine (sviluppata secondo i massimi criteri di comunicazione, diffusione, commercializzazione e secondo una ‘bellezza’ elaborata per l’assimilazione e comprensione di massa) si lacera, si scompone, perde il suo significato e la sua struttura: non vi è più il segno, i backgrounds, il simbolo (o logotipo), le frasi, la parola. Essa si ricompone, ed attraverso il colore (invariante di base) si riappropria del proprio valore strutturale autonomo e linguistico. Con questo processo inverso, ciò che è stato stampato e diffuso in milioni di copie ritorna in uno stato espositivo che ritrova il suo ‘unicum’ e, forse, si riavvia ciclicamente verso un nuovo processo di diffusione.
Non è un semplice collage, è vera e propria pittura/contro-pittura. Voglio che trasversalmente i collage e la pittura tradizionale si fondano su un linguaggio che elimini e distrugga l’altro.
Le figurazioni della pittura prese in prestito dall’advertising si riconducono ad una magnificenzadi ispirazione ‘classica’. È la parte che mi ossessiona nel cercare di creare un legame di sintesi, di assoluto, tra il linguaggio storico e contemporaneo, ma esso ha un fine delineato, pratico e logico: è sul superfluo che gioco, il saper fare pittura, il sapere tecnico è finalizzato sulla percezione di massa, che ancora oggi ammette su queste basi il valore artistico dell’opera. Ma vi è un graffio, il titolo, uno slogan, la parola, l’immagine lacerata di carta, che ne ribalta il significato: è sul concettuale che l’opera vorrebbe delineare il proprio valore e status.
Il pensiero:
I frammenti più rilevanti del mio vissuto divengono puro sguardo ed intensa riflessione verso le sfere emozionali irreversibilmente mutate dalla società dei consumi. La persuasione è ormai visibile, essa s’impone su ogni azione e pensiero etico/morale, influisce nell’immediato su ogni stato emozionale mutando ed alterando le necessità primarie e le relazioni umane. La materia ha assorbito l’anima.
Le correlazioni tra le forme di piacere non rimangono impassibili: tutto è compromesso dal senso di "rifiuto" inteso come spreco, il senso del piacere si consuma fino lo stadio dell’effimero e fino la soglia di una razionalità appagata dal superfluo. Divenendo oggetto di consumo, siamo successivamente destinati al rifiuto: nell’individualismo e nel nichilismo non vi è possibilità di ulteriore trasformazione.
Se prima il pittore, raccogliendo tutta sua forza vitale, bloccava il frangente prima dell’ulteriore trasformazione ("Pictor - il pittore, l’artista -, riesce a fermare ciò che è transitorio appena prima che ciò che si trasforma di continuo abbia compiuto la sua ulteriore metamorfosi". Le metamorfosi di Pictor, H. Hesse), io rappresento un immobile, angosciosa e dignitosamente elegante fase di stasi della condizione umana: viviamo un’immobilità nel caotico e paradossalmente la nostra immobilità è provocata da stati emozionali puramente transitori e dalla consapevolezza del “pensiero debole” (G. Vattimo) della società dei mass media.
Come vittima e conseguentemente carnefice, la mia scelta formale accenna lievemente per alcuni aspetti i principi del "bello apollineo" oggi interpretato dall’estetica dettata dall’ Advertising. L’immagine è accattivante, l’equilibrio tende al solenne, l’estetizzazione è al massimo, ma cela un particolare controverso (il graffio, la lacerazione) che inverte il primo impatto visivo e ne ribalta il significato per aprirsi verso un’espressività più profonda ed universale. In quell’istante il velo si è lacerato.
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