Senza titolo

Senza titolo

Ore contro le nostre piante nude, che scalciano la linea dell'orizzonte, nel tentativo di infrangerla, spezzandosi sugli scogli. Sbucciati per scoprire la nostra scenografia di carta, mentre i capelli ci inseguono. Bellezza e limiti che si prendono per mano su una linea troppo netta, per non averne paura. Un filo d'aria che sarebbe più resistente se ricamato. Volti ricamati che rincarnano le nostre storie all'alba, dove la luce è l'unico comandamento da seguire dettato dall'universo che andava a ballare sotto una cascata nera, africana allo stato brado. Perché tenerci quello che ci è stato concesso dannatamente, così come è, sarebbe una guerra vinta a tavolino. Ho sempre pulito tavolini, perché non brillavano mai come i tuoi capelli crespi. Aggiungo litri di detersivo per vedere il tuo sentiero non setacciato. Arare con il filo, fotografie dove mancano ancora centimetri di storie umane, lampeggiare a intermittenza. E per non cadere dovettero distogliere lo sguardo. Alcuni non si lavano ancora tutti i giorni, si può perdere tutto quello che ci si è attaccato addosso. Abbiamo accettato di stringere amicizia con i virus che ci sorridono, senza interrogare i nostri scrittori, in quei quindici minuti, dove ci si gioca praticamente tutto, come il primo giorno del liceo. Pelle che era fuggita via molto tempo prima, in una notte senza tempo. E l'abbiamo ritrovata poi quando ci siamo fatti più furbi della notte. Ho scritto che occorre attraversare tutti gli strati della paura per non averne più. Macchine da cucire ignare dei disegni che aggiungono quella forza fredda e nervosa, come quella di una stella marrone lontanissima. Perché possiamo fare una fotografia. Possiamo guardarla. Ma non chiedermi se la trovo completa. Manca sempre quella città mondiale. Ago. Il guaio delle parole è che sono solo parole e le si può far nascere anche quando sono già morte. Solo quando ho chiuso la porta, le spalle hanno smesso di bruciarmi. Io alle due e mezza del pomeriggio non so mai che fare. Ore che possono avere gradi di intensità inaspettati. Una sull'altra, fino a costruire una torre impastata dei nostri odori. Trame tessute, pronte a sfigurare la vita se solo avessero avuto un volto e un riconoscimento. Alessandra è un nome. Senza rubare, erano pezzi di bravura i nostri. Posso arrivare a piangere se manca qualcosa ai miei operati. Volontari di profezia. Perché può essere che se tu attacchi un pezzo quel pezzo un giorno è pronto a seguirti e sposarti. In ricchezza e povertà in salute e malattia, finchè morte non ci separi. Probabilmente verrà con noi, dove non c'è futuro scritto nè parlato. Abbiamo conoscenze tecniche che permettono ai materiali l'immortalità. Ci coccoleranno, anche 26 anni dopo la nostra scomparsa. Quando nelle vene non avremo più nessuna riga da far scorrere. Prenderanno il nostro posto. Il primo posto. Premio in mano. Forse leggeranno qualcosa che gli insegnerà a sorridere. Durante una premiazione è necessario sorridere, senza fare a gara ad asciugare subito le lacrime. Le lacrime, un lusso che solo i deboli possono concedersi. Ricami anche quelle storie li, e c'è anche una storia a proposito della composizione.

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Commenti 1

Andrea Ciresola
10 anni fa
Andrea Ciresola Artista
Troppe parole a mio avviso. Bastavano queste:
Ore contro le nostre piante nude, che scalciano la linea dell'orizzonte, nel tentativo di infrangerla, spezzandosi sugli scogli.
C'è tutto già lì e nell'immagine ovviamente! Un giorno parlavo con un attore di teatro che si diceva dispiaciuto di dover mettere gli occhiali perché quando non li aveva vedeva tutto sfuocato e immaginava tanto, tantissimo. Così che anche una cosa mediocre sembrava bellissima.
La tua immagine è bellissima ed evoca tanto. Tantissimo!

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