Persone che potresti conoscere
"La fama si riassume nell'essere riconosciuti. La celebrità dipende dalla propria immagine mediatica che una star offre alle masse. Tuttavia, il vero scopo di qualsiasi forma di auto-rappresentazione si sostanzia nella necessità di creare la propria identità. Si tratta di un modo per lasciare traccia della propria esistenza mortale sfuggendo all'inevitabile oblio del tempo, il quale rappresenta un autentico antidoto ad ogni vanità umana. L'immagine individuale che ci si può creare sui social network funziona allo stesso modo, soltanto che è a disposizione di tutti. Che io sia una celebrità o un povero Cristo, basta un rapido scatto a se stessi con il cellulare per rendersi pubblici. Ma questa velocità è mera apparenza. In bilico tra auto-rappresentazione e necessità di crearsi un'identità, ciascun autoscatto si tramuta in un'affermazione rivelatrice della propria personalità e del proprio carattere. Come voglio che gli altri mi vedano? Quanto ci tengo che gli altri mi riconoscano? Cosa voglio che pensino di me le persone che mi conoscono?
L'opera di Stefano Bullo affronta la complessa psicologia che si cela dietro all'auto-rappresentazione nell'era di Facebook e Twitter. Sovrapponendo la propria prospettiva e sensibilità esterna sull'autoscatto di qualcun altro, Bullo intende trarre un ritratto dall'auto-rappresentazione di persone che conosce, dunque lasciando margini molto limitato al pittore per quanto concerne la scelta sulla posa e la composizione del dipinto. Il giovane artista veneziano deve lottare strenuamente per cercare di staccarsi dall'autoscatto originale, nonché dal soggetto rappresentato a cui è legato sentimentalmente. Questo sforzo, però, lo porta a far emergere la vera essenza dell'auto-rappresentazione, la quale si concentra esageratamente sui dettagli: quelli da ostentare e quelli da nascondere, quelli che ci piacciono e quelli che odiamo di noi stessi. Lo sfondo riassume i riferimenti spaziali essenziali attraverso pochi colori, conferendo un'impressione tranquillizzante che stride con i tratti sofferenti e febbrili del pennello che delineano il volto del soggetto ritratto. Sembra quasi che il pittore abbia tentato di fondere dozzine di autoscatti in un singolo ritratto, che è esattamente ciò che facciamo con la nostra fotocamera. Il primo scatto non è mai il migliore, presto ne facciamo un secondo, poi un terzo e subito un quarto. Ci vuole tempo per trovare quell'unica foto che soddisfi il nostro narcisimo in tutti i dettagli, ma in realtà il risultato restituisce un'immagine completamente diversa, dimostrando piuttosto la fragilità interna e l'insicurezza personale che abbiamo nei confronti della nostra stessa immagine e che vorremmo vendere al prossimo. Nell'opera di Bullo, gli autoscatti – i cosiddetti selfie – finiscono per rivelarsi per quello che sono veramente: forse non sono esattamente le persone che conosciamo, ma soltanto persone che potremmo conoscere...non è vero?"
-Diego Mantoan-
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