On the other side
Il mio battello salpava sempre presto ogni mattina.
Il capitano non aspettava mai per nessuno!
Partiva sempre dallo stesso porto, alla stessa ora e per lo stesso mare.
Così furono anche i sogni che avevano stabilito per me.
Il capitano era mio padre,
anche se non sapeva di esserlo.
Il primo ufficiale era mio fratello,
e lui sapeva di esserlo.
Mia madre era la sguattera di bordo
e non aveva mai un motivo o una ragione per toccare il timone.
Le vele erano troppo alte e le tempeste le facevano molta paura.
Del suo essere portava in tasca solo un documento con scritto il nome.
Il veliero era grande e bellissimo,
però faceva solo il giro della nostra piccola isoletta.
Una prua maestosa che avrebbe potuto navigare contro la forza dell'oceano.
Se ne stava invece ferma, in rada a galleggiare.
A me avevano assegnato il posto nella stiva.
Dovevo controllare la merce, legare le casse,
e stare attento che nulla cadesse.
In quella calma quotidiana mi sentivo alla deriva.
Dal mio piccolo oblò nascosto nel fondo della stiva,
guardavo fuori tutti i colori cambiare e
dal cielo e dai gabbiani imparavo a volare.
Ogni cosa è quel che sembra,
ma anche tutto ciò che può sembrare.
Così intorno a me l'isola sembrava una gabbia virtuale.
Fuori dal mio oblò era tutto azzurro infinito e mare.
Io dovevo controllare la merce durante le tempeste.
Un grande onore diceva tutto l'equipaggio, un lavoro da niente,
un lavoro che tutti possono fare.
Per loro questo era veramente un pregio e un favore.
Forse non mi meritavo tanto,
visto che come dicevano a bordo...
Non ero mai contento!
Io invece non capivo bene cosa stessi a fare su quel vascello.
Dato che di tempeste non ne avremmo mai incontrate.
E visto che mai il capitano avrebbe lasciato le acque sicure dell'isola,
per navigare in mare aperto con il suo ammirato battello.
Giravamo intorno alla terra ferma, come pavoni, per farci notare.
Diceva il Capitano che è sempre un bene quando c'è da guadagnare.
Quando c'è qualcosa da farsi invidiare o da ammirare.
La baia intorno all'isola era calma e sinuosa,
aveva le curve e le insenature come i fianchi di una donna
dalla pelle rocciosa.
La grande prua del nostro battello,
sembrava puntare verso il lontano orizzonte.
Ma rientrava lungo i fianchi dell'isola
curvando improvvisamente.
Io ero solo un bambino nella stiva.
Il capitano di quella nave e di quella finta famiglia,
mi aveva lasciato solo e naufrago alla deriva.
Guardavo dal mio oblò
la Luna che risplende sull'argento del mare e che non può mai ingannare.
Seguivo da un buco la mappa del mio cielo e di tutte le stelle.
Rimanevo incantato per ore a veder le nuvole viaggiare.
Poi immaginavo rotte impossibili per noi tutti.
Immaginavo fossimo come le nubi che attraversano ogni mare.
Vedevo sulla prua del nostro veliero tanti grossi tentacoli
provenire dal fondo degli abissi per farci affondare.
Quelle cose provenivano dal mio avventuroso immaginario di letture,
ma era anche una strana speranza.
Che tutto potesse essere distrutto per sempre
e finalmente trasformarsi e poi cambiare.
Io ero solo un bambino nella stiva,
guardavo fuori dal mio buco
i colori del cielo lentamente cambiare.
Ascoltavo i venti arrivare e li sapevo riconoscere e catalogare.
La divisione netta tra liquido azzurro e infinito in movimento.
La linea dell'orizzonte che si piega intorno al mondo,
dove il vascello diventava piccolo e insignificante.
E come un guscio di noce andava verso il fondo.
Vedevo dal mio buco i delfini trasformarsi nelle onde del mare.
I pesci volanti diventare gli spruzzi e schizzare.
Nella schiuma bianca delle onde di ritorno
vedevo milioni di meduse divenire solide ogni giorno.
Quando fui quasi uomo,
per uno sbaglio di calcolo, per una rotta sbagliata o
per una forza sottostante e conduttrice di certe onde.
Il capitano ci portò per nell'isola vicina delle sirene bionde.
Appena riconobbi nel vento il loro canto e il loro odore,
vidi tutte le cose sulla nave cambiare.
Il capitano si voltò dal comando e si accorse subito di me,
lasciò il timone e disse che oggi ero pronto a comandare.
Era la prima volta che il capitano mi guardava,
ma le sue orbite erano vuote come caverne.
E dentro gli occhi un cielo cupo di tempeste,
così pieno di misteri, dove volavano nel vuoto milioni di corvi neri.
Le sirene bionde sanno per certezza secolare sicuramente cantare,
si prendono in bocca gli uomini di poco valore e li vanno a vomitare.
Solo chi è "Nessuno" le ha potute incontrare.
Ora ero quasi un uomo e dovevo ancora controllare la stiva.
"Vigliacchi! Infami e Bastardi cani!"
Diceva il mozzo tra una bestemmia e l'altra...
Dicevano che era matto e nessuno a bordo sapeva mai con chi ce l'aveva.
Il capitano e gli ufficiali erano a terra nel bar del porto,
a giocare soldi d'azzardo e divertirsi e godere come grossi maiali.
La sguattera puliva in fretta e preoccupata diceva:
" Facciamo presto che tra poco il capitano arriva!"
Io vedevo le balene grigie diventare arcobaleni,
poi i colori sparpagliarsi in battiti di ali e
trasformarsi in polvere magica e colorate falene.
Avevo per amici i gabbiani,
che diventavano leggeri come lanterne e poi aquiloni.
Qualche volta venivano da soli i pesci,
a mangiare dalle mie mani.
Io cercavo solo la mappa del mio cielo e delle stelle,
ed è per questo che dovevo imparare a viaggiare.
La mia vita cercava di condurmi al paese della fantasia,
adesso ne sono certo, perché abito da solo in casa sua.
Così dovevo sempre solo immaginare,
cosa vi fosse aldilà dell'orizzonte e del mare.
Già a quel tempo sapevo dell'Africa e della fame e del pane.
Io non parlavo con lui, ma sapevo ascoltare il mio cane.
Avevo visto le tigri e i leopardi
che prima erano tappeti di foglie gialle e nere
animarsi e correre veloci per cacciare.
Avevo visto le teste grandi dei leoni
diventare presidenti, criniere e corone per uomini potenti.
I cavalli correre selvaggi e
divenire i muscoli tesi dei venti.
Le giraffe dalle lunghe gambe eleganti,
come le donne più belle che corrono sui tacchi a spillo,
per fuggire senza riuscirci a uomini violenti.
Avevo visto i bambini di tutti i mondi poveri piangere e urlare,
per un mio gioco nocivo, riuscivo a scambiare i miei occhi con i loro.
Serviva a delineare la mia mappa del cielo e del mare,
ma non era un bel gioco da fare.
Sentivo forte la fame, la sete e la loro paura...
Una madre qualunque di quel villaggio mi prese in braccio,
mi spinse sul suo seno e iniziò ad allattarmi come chiede la natura.
Nella capanna due uomini stavano violentando una donna.
Io continuavo vorace a farmi nutrire e
avevo sempre meno paura.
Tutto pareva bello in quel gesto materno, ma non lo era!
Così questa era la mappa del mio cielo.
La scrivevo nel mio profondo di giorno e di notte...
Era il posto dove ogni incubo e ogni sogno
poteva diventare vero e io restavo solo.
Il capitano benché fosse capitano da molto tempo.
Non capiva proprio niente del mare.
Per lui il mare era solo tanta acqua salata di una vasca immensa,
Poteva essere cattivo e pericoloso o di pesci generoso.
Per lui il mare era solo un lavoro e in lui non c'era nessun'altra coscienza.
Il capitano era ubriaco di giovani puttane e di scommesse.
Il primo ufficiale sembrava mio fratello, ma non lo era.
La madre non era il fregio né il nome del nostro vascello,
era solo una madonna piangente che non racconta mai niente di bello.
La madonna era una sguattera che non aveva mai avuto una sola ragione,
per togliere dalle mani del padrone il comando e il timone.
Era una serva che diceva sempre si per nascondersi dall'opinione della gente.
Sorrideva solo quando si doveva sorridere e non a lungo, non sempre.
A me avevano assegnato il posto nella stiva.
Dovevo controllare la nostra merce e legare le casse.
dovevo stare attento che nulla improvvisamente cadesse.
In quella finta calma apparente ormai mi sentivo alla deriva.
Dicevano a bordo che eravamo una buona famiglia,
e che tutte le altre navi erano navi da pirati.
Io però non gli ho mai creduto veramente!
Forse, perché un vero capitano
dovrebbe avere il coraggio di viaggiare, di navigare.
E capire molte cose in più del mare.
Poi ci fu un alba improvvisa dentro di me,
era un mattino dai colori vivaci che si mischiavano liberi tra cielo e mare.
Era un giorno da cuori impavidi che avevano bisogno di salpare.
La grande nave che partiva per attraversare l'oceano
si avvicinava lentamente al mio oblò nascosto nella stiva.
Tutto sembrava speciale quel mattino guardando fuori dal buco,
anche perché da sempre mi ero sentito galleggiare alla deriva.
Così questa era la mappa delle stelle e del mio cielo.
Erano i miei amici gabbiani che mi chiedevano di andare con loro,
di spiccare il volo.
Io a quel tempo ero un po' uomo e un po' bambino.
Aprii in fretta il finestrino
e mi lasciai andare.
Caddi tra le braccia azzurre del mare.
Avevo un piccolo salvagente intorno alla mia vita.
Ero un punto rosso e galleggiante sull'azzurro del mare.
La corrente mi portava lentamente tra le due grandi navi,
una ferma immobile e l'altra che ora partiva a navigare.
Tutto in quel mattino sembrava molto poetico.
Tutto pareva bello,
ma effettivamente non poteva esserlo!
Federico Parra
www.Federicoparrapoiesis.com
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