Mnemosine
Agli album di famiglia sono stati affidati i ricordi: testimoni dei momenti salienti della vita di ognuno, raccolgono le immagini di intere generazioni. Gli album dei nonni e dei genitori diventano per figli e nipoti la testimonianza visiva di aneddoti e racconti, dando una forma a ciò che è successo prima della propria esistenza. Sfogliando gli album con le proprie fotografie invece, ognuno ricostruisce se stesso, si porta alla luce lentamente, un istante alla volta. Le fotografie scattate dalla famiglia di Florian Zyba tra il 1991, anno della sua nascita, e il 1997, sono state strappate e distrutte. L’artista è privo dell’ancoraggio all’infanzia che quasi tutti i figli degli anni ‘90, ultimi della fotografia analogica e dei grandi album cartacei, nascondono in qualche angolo delle loro librerie. Mnemousine è frutto della necessità impellente di dare una forma ai propri ricordi, invadendo fisicamente quelli degli altri. L’artista ha raccolto le fotografie di famiglia dei suoi coetanei, simili per qualità e ambientazioni alle sue, e ne ha preso possesso con la pittura. Sfogliando pagine di immagini che non gli appartenevano ha selezionato le più universali, quelle che tutti possiedono nel proprio album, unendole a fotografie che gli ricordavano le poche che sapeva di aver scattato. Tra le pagine vi sono quindi momenti spontanei e momenti orchestrati, sguardi tra madri e figli e foto ricordo delle vacanze. Durante la loro lavorazione le fotografie hanno abitato con l’artista che vi ha lentamente trasportato se stesso traslando i ricordi che appartenevano alle vecchie immagini sugli scatti appena trovati. Per esplicitare la propria presenza in esse l’artista ha usato la pittura; questa sembra invadere le immagini lentamente, un punto alla volta, creando l’illusione di un processo in costante divenire. In modo quasi parassitario, minuscole gocce di acrilico riempiono di colore le parti mancanti di ogni immagine, talvolta riprendendone i colori, altre creando con esse eleganti contrasti, ma comunque allontanandole inesorabilmente dai loro primi ospiti. Il pointillisme astratto di Zyba ricorda l’edera che prende possesso dei palazzi, cancellandone le architetture originali e creando relazioni tra edifici di luoghi e epoche lontanissime. Le differenze si perdono, i vortici di colore prendono il sopravvento e non si cerca più di capire chi siano i soggetti delle immagini, riconoscendo la pittura come protagonista trainante della storia. Il filo rosso che unisce le fotografie è ancora familiare, ma queste invece di restituire l’immagine passata di qualcuno, accolgono quella presente di Zyba, presente in ogni punto di acrilico. Un dialogo di colore lungo venti pagine, personale e universale, in cui la memoria cancellata riemerge da un piccolo furto del passato altrui.
Elena D’angelo
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