L'ASPIRANTE
A volte la famiglia non è che solitudine. Solitudine di una donna che s’inganna. Una donna-isola, sospesa nel nitore della memoria, nel nitore di un sogno al tempo in cui non era stato infranto, nitore del “prima che tutto si frantumasse” cristallizzato nel tempo. Nitore di un abito bianco ancora intatto. Intrappolata nel suo sogno, nell’ideale di un amore perfetto, questa donna vive sospesa nel ricordo di un’aspettativa sposata e mai incontrata e di un tempo inesistente, che osserva scorrere e riavvolgersi, incessantemente. È il circolo vizioso di ogni vana attesa. È il silenzio della violenza. E la violenza dell’assenza. Una desolazione sposata in nome dell’amore. Di un amore subdolo. Di un amore assente. L’aspirante è il ritratto di una donna (quasi) perfetta. Una donna incastrata nello stretto perimetro del “come tu mi vuoi”. Una donna chiusa in un ruolo, in una funzione. Una donna cui è stato sottratto piano il diritto all’emozione. L’aspirante è il ritratto del sempreverde modello di donna da sposare. Una donna sola e che è destinata a restare tale. Spogliata delle proprie ambizioni, dei propri sogni, delle proprie potenzialità. Vestita di doveri e devozione. Una donna che abbia comodi requisiti. L’aspirante si ispira all’omonima poesia scritta da Sylvia Plath nel 1962:
“Prima di tutto ce li hai i requisiti?
Ce l’hai
Un occhio di vetro, denti finti o una gruccia,
un tirante o un uncino,
seni di gomma, inguine di gomma,
Rattoppi a qualcosa che manca?”
[Sylvia Plath – L’aspirante]
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