immi
E’ l’attimo che precede l’azione il momento ultimo del lasciarsi andare. Vinto.
E poi lei, donna, disperata, pentita. Il suo lo sguardo si divide, la lettura delle scene intrappolate in un’unica iconografia, una sorta di “strabismo di coscienze”. L’occhio sinistro interroga il cielo, con una mano tra i capelli, le urla, atroci, quasi ad udirne lo strazio, il suono stridulo come un gesso alla lavagna, una forchetta tra i denti. Un suono ormai familiare al quale siamo atrocemente abituati. Sacra donna e madre, con rabbia, mostra il corpo del figlio, il suo secondo appena passato a miglior vita. Ucciso dalla terra, che non lo voleva, vittima delle scelte di quei grandi che volevano salvarlo da quegli altri. ma poco sembra importare poco.
Hanno già scelto tutti per lui e per il suo non domani.
Ora il mare lo piange e sembra proteggerlo portandolo con sé.
L’occhio destro della donna interroga il fruitore, lo tira dentro il dramma, puntando il suo sguardo, prendendo di petto la sua coscienza, mentre una lacrima sembra scenderle in bocca quasi a voler mostrare il rammarico, il pentimento.
Lo strazio interroga se stesso, la madre sembra chiedere, perchè?.
Storie tutte ugualmente diverse.
Soli davanti al proprio Dio, davanti alla propria vita che fa capolino alla morte.
Le tinte, piatte dei colori descrivono una realtà nuda, non lasciando spazio a distrazioni non permettendo vie d’uscita.
Tu fruitore, complice perché testimone del tempo in cui vivi, per questo responsabile.
L’opera è piena di vuoti, risultando anch’essa dispersa nello stesso mare di ipocrisia e compianto, smarrita di principi e riferimenti posta davanti al vuoto.
Immi nasce per creare affanno, per denunciare e fermare il tempo nel tempo stesso tra la vita e la morte. Immi, come immigrati, immi come “I’m” visto allo specchio. (Io sono).
Protagonisti di una storia comune, con ruoli differenti in uno stesso mare: l’oggi in cui l’uomo è vittima di se stesso smarrito nel vuoto di un non senso:
Il suicidio dell’amore.
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