INCORPOREO
Una sagoma dai contorni umani. Un uomo? Forse un’ombra. Il dubbio rimane. Questa figura cammina lenta, sospesa e leggera, venendo incontro al nostro sguardo di spettatori carichi di attese e interrogazioni. Emerge dall’oscurità e anela ad un nuovo bagliore. Arriva palesandosi dal buio, per scomparire dissolvendosi nella luce. Un uomo trasfigurato il cui corpo si ritaglia attraversando una cortina di reti e teli. È Lazzaro.
Giorgio Tentolini pensa all’uomo resuscitato dal Cristo, il primo a tornare dopo il suo incontro, risorgendo, ad una nuova vita dopo la morte. Un’anima che torna ad abbracciare le proprie carni. L’artista ricorre a lui come metafora che indica il destino di ciascuno di noi.
In questa direzione si orienta la sua riflessione: il viaggio di cui ci parla diventa quello dell’uomo nella vita. Il percorso, lungo o breve, dell’individuale esistenza. Un uomo solo che vale per tutti. Un viaggio che per ognuno si compone comunque di esperienze diverse, ma che si conserva ugualmente carico di aspettativa verso quel qualcosa di più grande che è il mistero imponderabile dell’eterno. Speranza finale di ciascuno.
La sua non è una scelta iconografica semplice, eppure i materiali del suo lavoro, la perizia e la poesia della sua realizzazione, riescono a farsi forma intrigante e persuasiva; ci offre un’immagine reale e coinvolgente, non un’allucinazione o un miraggio vuoto e fatuo. Questo perché, in un’aura a-temporale, al centro mantiene come unico protagonista proprio l’uomo e la riconoscibilità del suo viaggio da e verso l’ignoto. Un uomo identificabile anche se intenzionalmente spogliato dalle sue contingenze materiali, una sagoma eroica e nuda, libera e sincera, eppure anche così tanto distinguibile nelle immagini della storia: si è detto di Lazzaro e troviamo anche – come ci suggerisce lo stesso artista – l’Adamo cacciato dall’Eden di Masaccio; le figure della fiumana di operai di Pelizza da Volpedo che cercano un riscatto in un futuro più radioso; La rivoluzione siamo noi di Beuys,L’homme qui marchedi Alberto Giacometti. Molti altri esempi affollano la nostra memoria incontrando la figura da lui proposta.Suggestiona molto una certa famigliarità con le immagini digitali contemporanee: forse, dentro quelle trame e orditi, si possono scorgere i pixel del mondo e della realtà virtuale che pare scalzare prepotentemente quella reale. Intravediamo allora l’identità di un uomo disumanizzato e la sua fragilità nel cedere alle lusinghe di nuovi demiurghi. Nella geometrizzazione delle forme, frutto di calcoli e alchimie matematico-informali, si vede un uomo a mosaico, computerizzato, fatto di piccoli pezzi che sempre celano il pericolo di dissolversi e svanire nel nulla. Senza lasciare traccia alcuna di sé dopo aver perduto la via. L’uomo di Tentolini rimanda allora anche alla debolezza dell’uomo contemporaneo, intrappolato nella falsità dell’artefazione, il cui destino di speranza rimane sempre quello di rimettersi a considerare il mistero più grande che pervade la sua vita e si svela alla sua morte. Non in un clima di angoscia apocalittica, ma con un desiderio di piena e forte consapevolezza.
Una figura umana che si fa soglia, luogo di transito o transizione del nostro stesso essere. L’immagine che appare è pronta a sfuggire di nuovo, dal pellegrinaggio limitato della vita alla tappa di un viaggio molto più lungo. Nell’attesa di quella consapevolezza che si avvolge nel silenzio e di cui, nessuno mai, ha saputo darci testimonianza. Quella meta finale del viaggio che si risolve solo tra noi e l’assoluto cui saremo davanti. Tentolini parla di vita e morte, di principio e fine. Parla di rinnovamento e rinascita.Ci narra l’incessante viaggio esistenziale umano e, ricorrendo ad una rete, che stratificata lascia affiorare per maglie, sempre più larghe e libere, il contorno del suo soggetto facendolo sfuggire in superficie, ci suggerisce una figura più labile e immateriale.
Chi resta protagonista di questo rinnovamento della vita, di questa imperitura rinascita? Chi si ritrova protagonista di quel nuovo viaggio senza termine?
L’uomo o, forse, la sua anima, di cui Tentolini, ci offre già la sua possibile e labile impronta.
Matteo Galbiati
estratto dal catalogo: E quindi uscimmo a riveder le stelle
Premio Arti Visive San Fedele 2011/12
E USCIMMO A RIVEDER LE STELLE - IL VIAGGIO
23 maggio – 7 luglio 2012
Via Hoepli 3 a-b - 20121 Milano
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