Endlessly Distant
Dimesioni: 110 x 96, Edizione di 9
Che l'individuo si ritrovi perso nel mondo urbanizzato ed anonimo e che si sia adattato in esistenziale isolamento allo sterile panorama del materialismo è palesato nella serie Empty Spaces degli anni 2010-2011. Spazi vuoti. Tuttavia, quando guardiamo al lavoro di Katerina Belkina, vediamo, vediamo tutto tranne “Spazi vuoti”. Vediamo la figura principale nel contesto urbano di un'immensa metropoli, Mosca. Una città in cui Belkina ha vissuto e lavorato per lunghi anni. Una città con grattacieli, torri, ciminiere e treni. La tranquilla e sottomessa espressione della figura principale contrasta aspramente con l'anonima confusione del rigido sfondo. L'incongruenza aumenta il sospetto, insieme al titolo della serie che suggerisce come siano altri gli spazi che Katerina descrive. Uno spazio che può essere rappresentato solamente nei più piccoli dettagli e per cui il mezzo della fotografia digitale fornisce lo strumento migliore. Con questa tecnica eccezionale il virtuale compare ancora una volta e l'arte della Belkina può esprimerne l'essenza: la rappresentazione della realtà percepita.
Le opere estremamente meticolose di Katerina Belkina. Le sue fotografie sono dettagliate, la manipolazione della luce e le sue scelte di colore sono esplicite. Nulla è lasciato al caso. La sua vasta conoscenza della tecnica digitale incontra il massimo controllo che possiede ogni altro artista tradizionale che usa pennello o scalpello. Questo controllo straordinario è il suo “sine qua non” necessario a rappresentare la sua realtà.
Un'opera chiave della serie è “Enter”. E' con essa che entriamo nel suo mondo. Vediamo l'individio posto di fronte e simmetricamente al finestrino ovale dietro cui sorge una città nella luce. Nasce il paragone con le icone russe. E proprio come un'icona è essenzialmente astratta, essendo la materializzazione di un'idea, di un archetipo, siamo nuovamente di fronte al concetto fondamentale di Katerina Belkina: l'uomo, l'individuo, contornato dalla luce che ne circonda il capo come un'aureola, come un'essere spirituale alla ricerca dell'equilibrio con la realtà materiale.
Il sorgere della realtà marteriale è chiarito nell'opera “Fly!”. La figura appare sospesa nell'aria, come se non avesse peso, libera dal suolo, la gravità sconfitta.
Belkina usa la metropoli come una metafora del mondo; vede il contesto urbano come una manifestazione artificiale e puramente materialistica. Vede l'essere umano come un piccolo puntino sperduto e abbandonato in questa vasta unità futuristica. Alla ricerca di un luogo dove nascondersi, una casa, sicurezza, ma alla fine queste non si trovano. Alla fine, nonostante ciò, per raggiungere un posto, una “casa”, le persone si adattano; questo è il perché le figure sono futuristiche. Nella sua visione la metropoli ha creato una nuova umanità, nella quale solo una minima parte di coscienza rimane all'uomo insieme alla connessione con il vero universo.
Questo dualismo nel suo concetto è come rivelato nelle finestre presenti in quasi tutti i suoi lavori. Una finestra è contemporaneamente una connessione e una barriera tra esterno ed interno, tra qui e li, tra due mondi. In “Metro” la finestra è, come dice il titolo dell'opera, la finestra di una carrozza della metropolitana. E' forse il tunnel nel sottosuolo che prelude all'introspezione? La metropolitana è un viaggio sotterraneo, invisibile dall'esterno. Belkina paragona questo immegersi nel sottosuolo con la psicoanalisi; cito: “Devi regolarmente guardarti dentro. Questo è spesso inquietante. Ma è l'unico modo per svelare il tuo spirito a te stesso.”
Testo di Marike van der Knaap, storica dell'arte
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