CHI SONO IO PER GIUDICARE
Chi sono io per giudicare è il titolo che l’artista Nicola Mette (1979) ha scelto per la sua nuova Performance/Azione a Cagliari. Tape: Comune di Cagliari, Bastione di S. Remy, Torri di San Pancrazio, Torre dell’Elefante, Cattedrale di Santa Maria Assunta e di Santa Cecilia, Basilica di Bonaria, Centro storico. Chi sono io per giudicare. Una frase che ha fatto il giro dei media internazionali: pronunciata dal Pontefice attuale, Francesco, e che si riferiva a una domanda fattagli durante un viaggio di ritorno in aereo da un giornalista in merito agli scandali e alle violenze pedofile perpetrate da diversi preti, porporati ed esponenti del clero in giro per il mondo. La risposta del Pontefice è stata decontestualizzata ed è stata vista subito come un’apertura dello stesso sui temi inerenti l’omosessualità, mentre, in realtà, era niente altro che una presa di distanza rispetto a tali fatti di sopruso e di violenza nei confronti di minori da parte di alcuni officianti il culto cattolico. Chi sono io per giudicare vuole essere, come sempre nelle performance/azione di Nicola Mette, un momento di riflessione e di denuncia sociale. Si presenterà indossando la lunga veste cardinalizia, un rosso intenso che esprime per la sua lunghezza e la sua portata maestosa lo sfarzo ecclesiastico, quello sfarzo dietro al quale alcuni esponenti, anche di rilievo, del clero hanno potuto commettere atti di violenza e di sopraffazione nei confronti di minori, alcuni sono rimasti impuniti, altri sono stati impunemente amnistiati. Chi sono io per giudicare vuole essere anche una frase di ironia pura e di cinico atteggiamento nei confronti di chi si erge spesso a colui che condanna l’omosessualità come forma aberrante di esistenza, come malattia, addirittura come forma da estirpare anche attraverso un’eliminazione psicologica e fisica, ricordiamo le allucinanti e terrificanti dichiarazioni di Don Massimiliano Pusceddu, “I gay sono nemici di Dio e devono morire”, istigando l’odio, mentre assume atteggiamenti di clemenza nei riguardi di atti di perversione e di pedofilia contro figure inermi e innocenti. Nel 2015 Don Silvio Foddis invitó ad usare il lanciafiamme contro i gay per una foto che aveva visto in un Pride dove c’erano due ragazzi nudi. Un vero virus in Sardegna che si aggira non solo tra i preti che nell’omelia istigano le persone contro la comunità LGBTI. Nel 2012 a Sindia (NU) in Sardegna nella performance/azione Libertade Paridade Sessualidade l’artista è stato oggetto di critiche nell’omelia da parte del sacerdote ed è stato preso in giro da alcune persone dello stesso paese con delle scritte per terra davanti a casa sua e in mezzo alla strada all’entrata del paese: “ VERGOGNA” – “NICOLA METTE SEI LA VERGOGNA DEL PAESE GAY”. La stessa Radio Maria (2016) ha preso una foto da internet, che ha pubblicato come citazione in un articolo da il Fatto Quotidiano, della performance/azione QUOD AMOR CONIUNXIT NON SEPARAT LEX, realizzata a Milano, senza citare la fonte, parlando male della legge Cirinnà e delle Unioni Civili, dicendo che, qualora la legge fosse stata approvata, le coppie omossessuali dovevano sposarsi cosi: uno vestito con abito da sposo e altro con abito da sposa bianco, stravolgendo totalmente il significato. Nella performance, invece, l’abito significava l'unità delle persone, ironizzando quell'abito bianco usato e portato all’altare dalle donne prive della loro verginità. Casi di omosessualità all’interno del clero sono, come naturale siano, esistenti e persistenti: tutto questo passa sotto silenzio all’interno di una patina di ipocrisia e di un sistema, quello clericale, che spesso si permette di interferire nel mondo istituzionale: leggiamo, infatti, del diniego in seno all’ONU dello Stato del Vaticano all’approvazione della direttiva per la moratoria contro la condanna penale, includendo anche quella capitale, verso persone LGBTI, o inopportune influenze da parte dello stesso clero nei dibattiti parlamentari, quasi spesso italiani, a favore dell’estensione dei diritti LGBTI. Amare dovrebbe essere un comandamento del Vangelo e amare non dovrebbe avere né confini, né limitazioni, né, tanto meno, condizioni: l’amore universale viene ogni giorno svilito e offeso da chi istiga soltanto avversione nei confronti di chi viene considerato “diverso”. Nicola Mette si presenterà al pubblico ammantato da una lunga veste e pronuncerà, quasi come fosse un mantra, la fatidica frase, chi sono io per giudicare, incutendo nei presenti non solo stupore per la presenza scenica magistrale, consueta per gli ambienti clericali, ma anche per l’espressione facciale e mimica, gestuale e performativa che indurrà a rilevare la contraddizione che si vive e si respira all’interno delle gerarchie ecclesiastiche. Una nuova performance/azione si affiancherà alle tante che già l’artista ha saputo e voluto condurre in merito, avvallando ancor di più come la qualità estetica di tale espressività artistica possa garantire quel significante utile a denunciare un integralismo confessionalista bieco e disumano, intollerante e violento. Nicola Mette sarà accompagnato da un giovane vestito da prete che sorreggerà la veste, pesante, anche in questo si può trovare quasi allegoricamente la portata di una struttura gerarchica, verticistica, maschilista e sessista, figure al totale servizio acritico di un’organizzazione millenaria che nella maggioranza dei casi fa del lucro la base della propria potenza e del terrore e dell’odio le basi della propria propaganda e, quindi, del proprio potere egemonico.
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