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If I could remenber my name
Fu così che iniziai a fotografare la sua vita, convinto di dover “documentare” la sua condizione di anziana sola in casa, senza amici, con marito morto da tanti anni, figli lontani e ora, sempre più, priva anche dei suoi ricordi, della sua storia, del suo passato.
Ma il progetto ha seguito poi sentieri diversi, tutti suoi, fatti di percorsi tortuosi, cambiamenti di direzione, curve a gomito, pause, ripensamenti, ritorni indietro.
Come si può mostrare qualcosa che avviene dentro la testa di una persona? Quello che mia madre in realtà faceva era sparire, mettersi sempre più a margine della vita, svanire lentamente da essa, con e come tutti i suoi ricordi.
Sempre di più, paradossalmente, la sua presenza diventava la sua assenza. Della sua vita non rimanevano che tracce, brandelli di ricordi. A volte puoi solo immaginarli, come guardando il retro di una fotografia, a volte si confondono perdendo ogni senso, come nel guardare una doppia esposizione uscita per errore; altre volte ancora essi si presentano completamente capovolti.
Ho fotografato Andreina, la sua casa, le sue cose, tutto ciò che parlasse di lei e che potesse raccontare la sua storia perduta, o meglio la perdita della sua storia, fino alla sua morte, nel settembre 2013 e nei mesi successivi. Questo lavoro ha significato per me fare i conti con la solitudine, la malattia, la morte, i ricordi di mia madre, ma anche – essendo così profondamente coinvolto emotivamente - con aspetti di me, del mio rapporto con lei, del mio stesso passato, forse non del tutto risolti. E’ stato per me, allo stesso tempo, un viaggio e un lunghissimo, inespresso, dialogo con lei e con l’io che ero stato, attraverso la sua memoria ma anche all’interno della mia, all’interno di me stesso. Non è stato facile né indolore.
Nel corso del tempo, mentre il progetto assumeva le sue diverse forme, cambiava il mio modo di pensare, il mio modo di sentire quello che accadeva, cambiavo io. E, a seguire, anche il lavoro cambiava ogni volta titolo. Partito con “vanishing Andreina” durante la prima fase di deriva reportagista, divenne poi e rimase per molto tempo “tracce”, finché un giorno fui colpito come un pugno dalla frase “parlami di te”.
Era, giustamente, il tempo in cui cercavo di ritrovare ancora in questo lavoro le tracce della vita di Andreina, i suoi ricordi, tutto ciò che aveva valore per me, e che tendevo a voler preservare. Solo ora, dopo alcuni anni, mi decido a riprendere in mano questo progetto. E, adesso che il tempo stempera il dolore della perdita ed i ricordi sfumano, mi sembra che queste immagini possano rivivere con un significato più universale, che vada al di là della semplice raccolta delle scarse e confuse tracce di vita di Andreina. Rivedo adesso questo lavoro sotto una luce diversa. Credo che esso si stia ora muovendo spinto da un diverso bisogno di comprensione, dal desiderio di immergersi nel mondo della demenza senile e dell’Alzheimer, cercando di immaginare e avere almeno un barlume di comprensione di cosa possa accadere nella mente di chi è colpito da queste gravi malattie. E così, di nuovo aiutato dal caso, mentre rimettevo mano al mio progetto, mi sono ricordato un vecchio disco di David Crosby: “If I could only remember my name”. Credo che sia la migliore sinossi possibile per il mio progetto.
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