Landless Men

Landless Men

Il progetto Landless men – Uomini senza terra vuole tentare di aprire uno spiraglio sull’identità del migrante/rifugiato utilizzando uno strumento come la fotografia che per sua natura è un linguaggio diretto, privo di intermediazione e quindi universalmente “leggibile”. La realtà del migrante, è invece oggi più che mai sconosciuta nebulosa e strumentalizzata. Ogni giorno i mezzi di informazione ci aggiornano sulla situazione a larga scala: come si muovono i differenti flussi, quali sono i confini sotto pressione, il numero dei decessi, gli esiti dell’ennesima riunione di emergenza della Comunità Europea, gli egoismi nazionalistici e la generosità dei singoli. Ma i migranti rimangono sullo sfondo, comparse, se ne parla senza in realtà conoscerli quasi che mantenere questa distanza possa renderli meno umani e quindi giustificare nel migliore dei casi la nostra indifferenza.
Il progetto qui presentato punta al piccolo, al dettaglio, alla singola storia innanzitutto per conoscere e poi magari per capire quello che ai più per ora sfugge. L’intento è dare uno strumento in più per ragionare su quello che sta succedendo fuori dalla porta di casa partendo da chi è arrivato in Italia e si trova ora in un “limbo”, in attesa di un permesso, di un lavoro, di un luogo in cui riprendere a vivere.
Da dove partire? Inizialmente mi sono avvicinato a queste persone tentando di raccontare il presente ed il passato di chi incontravo. Fare un passo indietro nelle vite di questi uomini e di queste donne che non sono solo quello che vediamo ora ma che sicuramente erano anche altro prima di arrivare fin qui. Ricostruire la trama della vicenda saldando assieme il presente ed il passato, quest’ultimo richiamato magari da oggetti che chi fugge si è portato dietro: fotografie, un libro, lettere giunte da chi è rimasto e non è potuto o non ha voluto partire. E’ bastato poco per intuire che il progetto non poteva svilupparsi in quanto la maggior parte dei profughi non ha materialmente più nulla del proprio paese.
L’idea successiva è stata quindi quella di permettere a chi avevo di fronte di esprimersi liberamente, di scrivere di proprio pugno e nella propria lingua ciò che voleva: una poesia, un detto della propria terra, un pensiero. La possibilità in fase di ripresa di sovrapporre l’immagine del migrante e la pagina da lui scritta fornendo a chi guarda la traduzione offre a mio avviso un elemento in più per avvicinarsi a queste persone.
Il progetto è giovane, neanche un anno di età, ma conto di portarlo avanti nei prossimi anni. Per approfondire www.vittoriocolamussi.com

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