Cold - Freddo
Due attivisti curdi all'interno di una tenda a Misenter, un piccolo villaggio sulla linea di confine tra la Turchia e la Siria. Centinaia di attivisti da tutta l'Anatolia sono arrivati in questa zona nel corso degli ultimi 3 anni, in modo da aiutare attivamente i rifugiati curdi e dare solidarietà ai curdi.
The forgotten kurds - I curdi dimenticati
Questi sono i territori dove ho avuto il primo e brusco impatto con le difficoltà reali di alcune persone fuggite da conflitti oggigiorno ancora presenti e legate dalla comune esigenza di porre fine ad una condizione di continua instabilità.
Durante il mio peregrinare ho iniziato a condividere alcune storie di vita con le varie comunità curde incontrate nei territori attraversati; verso tali comunità, sin da quando ero un bambino, ho sempre avuto un forte legame . Ciò è dovuto principalmente ad amicizie personali ,sviluppatasi negli anni, con alcuni curdi stabilizzatisi in Italia che mi hanno raccontato le vicissitudini del proprio popolo nei vari territori di provenienza.
I curdi, dopo la fine della prima guerra mondiale, sono stati divisi a causa della creazione a tavolino di nuovi confini e stati nazionali, dettata dalle potenze vincitrici del conflitto. Alcuni di loro, separati bruscamente da una linea di confine creatasi con la dissoluzione dell’impero ottomano, vivono da sempre le sofferenze della frammentazione. Il territorio del Kurdistan, è difatti oggi suddiviso tra Iran, Iraq, Turchia e Siria. Questo ha causato molte volte la disgregazione di famiglie che una volta vivevano nello stesso contesto; ciò è difatti particolarmente visibile in gran parte del confine tra la Turchia e la Siria.
In molti dei miei viaggi in Iran, Iraq e Turchia, sono stato spesso accolto generosamente da famiglie curde e con esse ho sempre respirato un'atmosfera di tranquillità e di profonda vitalità, regalando ad ogni incontro un significato intenso; è tra il 2013 ed il 2015 che questa intima tranquillità, soprattutto nel Kurdistan in zona siriana ed Irachena, è stata scossa in modo repentino.
Quando sentii parlare dell’assedio sulla città curda di Kobane, nel nord della Syria, attaccata su più fronti dalle milizie dello Stato islamico ed i loro alleati nell’autunno del 2014, ho davvero avuto paura che tale Cantone potesse cadere nelle loro mani, terrorizzato all’idea che le persone conosciute in Kurdistan potessero subire le stesse sorti di chi era passato precedentemente sotto le grinfie dei miliziani dello Stato Islamico.
Mentre guardavo alcune immagini della lotta intestina all’interno di Kobane tra le milizie curde ed i jihadisti, riprese da una collina di fronte alla città in territorio turco dove ero stato qualche anno prima, ho immediatamente pensato di fare ritorno in Kurdistan: dovevo andare lì, era un’ esigenza ed un dovere allo stesso tempo. Sentivo il bisogno di stare vicino alla popolazione curda che in quel momento, così come svariate volte nella storia, era lasciata a se stessa dal resto del mondo. Ad Ottobre del 2014, sono dunque volato in Turchia, dove ho iniziato a seguire la situazione dei curdi al confine tra Siria e Turchia: molti curdi, bloccati alla frontiera chiusa dalle autorità turche, cercavano in svariati modi di scappare dai territori del Rojava (Kurdistan in territorio siriano) sotto assedio, in modo da raggiungere familiari, parenti ed amici presenti sull’altro lato del confine. Mi sono così stanziato nelle zone di frontiera, cercando di analizzare la situazione: fortunatamente ,in quei mesi difficili, centinaia di persone da tutta l’Anatolia erano giunte autonomamente sul confine turco-siriano per solidarizzare attivamente con i curdi. Grazie a costanti azioni di pressione verso lo stato turco e l’apertura di vari passaggi sulla linea di frontiera, nel Novembre del 2014, era stato raggiunto l’importante obbiettivo di mettere in salvo migliaia di profughi in fuga dallo Stato islamico, gestendo una situazione umanitaria disastrosa . Proprio in quei mesi, ho iniziato ad entrare in una relazione più intima con le vite di chi fuggiva, ho dormito con loro nelle tende organizzate dalla popolazione curda del territorio turco ed ho avuto prova, giorno dopo giorno, della forza preponderante della solidarietà in quei territori martoriati.
Nel marzo del 2015,poco dopo la liberazione di Kobane, ho preso la decisione di entrare nella città seguendo un ingente flusso di persone che avevano deciso di tornare in Rojava, nonostante le difficoltà e la situazione disastrosa .E’ proprio da quel momento che nacque l’idea di sviluppare un progetto visuale a lungo termine sulla popolazione curda che si protrarrà sino all’estate del 2016, quando una buona parte della popolazione di Kobane riuscirà a ritornare nella città, dopo mesi di esilio forzato. Un progetto che ha tentato di riunire le testimonianze fotografiche raccolte durante l’arco di due anni, seguendo lo sguardo di un’intera comunità in esilio. E’ in questo modo che ho tentato di raccontare attraverso una sorta di "viaggio visivo” ciò che gli abitanti del Rojava hanno visto davanti ai propri occhi nel loro peregrinare: dal fronte di guerra a sud di Kobane, sino alla desolazione della città stessa, per poi passare attraverso il “Bakur Kurdistan”, territorio curdo in Anatolia, cercando di concentrarmi sullo scorrere di una vita all’ombra di un costante assedio ed una perpetua fuga.
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