Forse un mattino

Forse un mattino

Una poesia di Eugenio Montale sullo sfondo – Forse un mattino andando in un’aria di vetro –, insieme a una visione che fonde immaginario e tracce soggettive, proiettano sullo schermo una sorta di teatro della memoria, elegiaco e delicatissimo.
Forse un mattino esplora il rapporto tra occhio, soggetti ritratti e ambiente percepito, racconta l’esperienza di vita dell’autore, le sue domande sul reale e sulle relazioni vitali, lasciando la parola a chi guarda. I luoghi dove lo sguardo si è posato rappresentano gli spazi dell’anima, una geografia dell’intimo, inevitabilmente il Sud, da Napoli fino al Marocco. E poi Mantova, le Dolomiti o qualsiasi luogo dove le relazioni, le connessioni affettive, spingono ad arrivare. In primo piano uomini e donne rivolte al paesaggio, spalle parlanti e in dialogo con lo spazio, con quell’ambiente che è un prolungamento sensoriale dell’anima. La scelta ricade sui ritratti degli amici, portando a scartare le immagini degli attori. L’anima di spalle apre lo sguardo, ogni dittico è una piccola scatola ottica, guidata appunto da postura, tratti fisici, abiti di uomini e donne che guardano innanzi, negandosi all’obiettivo. Sono protagonisti del viaggio nel tempo e nello spazio, dilatano sottilmente la scena, strappano lo schermo, rompendo e amplificando l’effetto trompe l’oeil. Avviano il trasporto nell’inganno consueto, ponendo domande ai sensi dello spettatore.

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