Sapevo che c'era qualcosa di brutto là dentro...

Installazione, Memoria, Architettura, Video installazione, 230x60x6cm
Videoinstallazione (3 fotografie primi '900, 3 cornici d'epoca, 1 monitor LED, 1 video proiettore, scheda di controllo audio-video)

Questo lavoro trova ispirazione da una storia realmente accaduta, ambientata all’interno delle stanze di Belvoir Castle tra la fine dell’800 e il primo ‘900, narrata da Catherine Bailey nel suo libro The Secret Rooms.
E’ la storia di John, il nono duca della discendenza della famiglia Rutland, un ragazzo cresciuto in un contesto nobiliare tanto sfarzoso, quanto oppressivo, che lo ha condizionato sino a divenire un uomo profondamente turbato.
Turbato da cosa? Dalla misteriosa morte prematura di suo fratello Haddon e dalla sua presunta “corresponsabilità”, oppure dalle vicende oscure e inenarrabili che si celavano dietro alla dinastia Rutland?
Dalla residenza coatta all’interno di una gabbia dorata ma claustrofobica, oppure dal rimorso di non aver speso la sua vita a favore di una verità troppo scomoda per essere rivelata?
Il progetto ha l’ambizione di costruire, sulla base del racconto di Catherine Bailey, una sceneggiatura ibrida composta di contenuti narrativi recuperati dalla storia di John e trapiantati all’interno di un set contaminato da cinema e fotografia, che racchiude in se la riproduzione dei luoghi e delle sale di Belvoir Castle.
Il primo capitolo (fotografia 1) è dedicato alla ricostruzione degli ambienti e delle architetture della residenza; nel secondo e terzo capitolo (fotografie 2 e 3) vengono narrati in forma strettamente interpretativa gli ultimi giorni trascorsi da John nelle stanze del castello. Le riprese mostrano uno scenario sempre più opprimente e straniante.
Nella prima fotografia è stata intagliata parte della foto originale e del passepartout, aprendo la prospettiva verso gli interni della residenza, svelando i luoghi resi inaccessibili durante i decenni che hanno tracciato il trascorso di John. Nella seconda e terza fotografia, approfittando degli evidenti errori di esecuzione tecnica di produzione, sviluppo e stampa, le scene sono state montate in modo da utilizzare le parti sovraesposte come delle superfici di proiezione cinematografica di un set improbabile e forse nemmeno mai esistito.

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