Pulpito con predica
Ricordo di aver pensato e non solo in quel momento, che quando si parla si detiene un potere: quello di dire cose che fanno pensare ad altre, quello di dire cose stupide, quello di dire cose che fanno ridere, neanche troppo... ed altro.
In quel momento ascoltavo cose stupide che mi hanno fatto pensare ad altro.
La mia mente iniziò ad immaginare un pulpito, poi tanti pulpiti e tante persone che, più o meno contemporaneamente, occupavano lo spazio del silenzio con niente, o poco più.
Questi individui in un primo momento apparivano come persone comuni, poi mutavano e diventavano maschere di se stessi, a volte buffe, a volte irritanti.
Giocolieri della parola e del rumore.
Ed ecco che il pulpito immaginato cominciò a prendere forma e diventò una giostra e un po' un balcone. Una giostra sacra che sacralizzava il gioco e un balcone bizzarro dal quale urlare il pensiero. Perché da un balcone non puoi bisbigliare ma devi urlare!
Così iniziai a buttare giù uno schizzo frettoloso che però diede subito soddisfazione all'intenzione. E mi piacque.
Non riuscivo ad immaginare cosa poter dire da quel pulpito, tutto, niente, lasciarlo vuoto o appendervi una tela bianca... e così feci.
Ma poi avvertì la fortissima necessità di predicare, di predicare la mia verità!
Ho dipinto la mia predica, prima un metro, poi due, poi venti.
La parola cede il passo ai segni, alla forma al colore. Una lampo separa spazio e tempo dei contenuti e il vento crea il suo ordine sparso.
La natura come stanza occasionale accoglie il suo ospite silenzioso.
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