L’uomo ha sempre amato camminare sulle rive del fiume della storia, ciascun individuo nell’illusione o nella speranza di influenzarne il corso e il regime, ora dirigendosi verso le sorgenti, ora verso il mare. Barche fragili lo hanno solcato. Lo sguardo ha sempre cercato di vederlo, il mare, la bocca ha affermato con forza la sua esistenza, le membra si sono affrettate per raggiungerlo, si sono riposate per attenderlo. La Civitas Dei, anche quando si è secolarizzata in una Civitas Terrena altrettanto irraggiungibile, è sempre stata l’orizzonte su cui inscenare il dramma della vita. Quando l’utopia è diventata ucronia, quando è nata la consapevolezza che il tempo dell’avvento del non-luogo non ci sarà mai, è stato il crepuscolo della fine e del fine della storia. Le acque del fiume della storia scorreranno in eterno, all’uomo spetta un ruolo non più marginale, ma nemmeno più centrale, di quello di un piccolo pesce. L’orizzonte delle aspettative si riduce al Qui e all’Ora, l’uomo è solo sulla scena perché non ci sono più né scena né dramma, ma finalmente è abbandonato alle acque, finalmente libero.
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celeste,
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