Olio su tela e legno. Punto di partenza è l’approdo del tempio di Diana dove si consumava il rito del sacerdozio, ogni re succedeva all’altro dopo aver ucciso il suo predecessore. Questo era il paesaggio della mia adolescenza, intorno al lago di Nemi. Come ritrovare il ricordo di questo approdo qui dove non c’è acqua né porto per attraccare? Da questa assenza nasce il progetto “Campo compresso”, far entrare all’interno di un determinato spazio tutto quello che contiene un paesaggio/memoria, senza descriverlo. Mi vengono in aiuto elementi che contengono una o più storie legate ad un territorio, come porte e finestre, scarti di costruzioni, quasi fossero “le rovine del tempio”. Attraverso il colore e la forma lavoro sulla superficie come in un campo visivo che appartiene e si sofferma più sulla percezione che sulla raffigurazione. Il campo compresso si differenzia dal paesaggio perché lo sguardo si concentra o immagina un punto focale che dialoga con l’esterno e l’interno, il visibile e l’invisibile, ed è in questo dialogo che si sprigiona un nuovo spazio di libertà, che è ricordo, presente e futuro.