A proprio agio, nei limiti sicuri della carta stampata, sfuggendo al disastro, donne e uomini, tinti e velati, inscenano la propria solitudine lieta d'esser vista tra le quinte rassicuranti dell'immagine; e le immagini sono come parole, punti luce per discorsi come esperimenti di laboratorio, proposte di esistenza raccolte in provetta in un pianeta scollegato. Le ambientazioni sono brevi, paesaggi lunghi la circonferenza dell'iride nell'immagine rimasta salva alla memoria o muti scuri fondali, barriere e porte chiuse del ricordo, fasce di esistenza sovrapposte e disaggregate quanto sguardi precipitati dall'infanzia scolorita alla maturità non raggiunta, visi e corpi che tentano appena di comporsi in Ritratti. I personaggi di Laura Zarrelli sono radi e isolati, così definiti da non sapersi dire altrimenti, ma incapaci di spiegare l'incoerenza tra come chiaramente appaiono e le loro tenebre; trascinati da un'onda che sconvolge i più inquieti, mentre altri stanno ritti come pali, affondano indefiniti in tante vite, non trovando altra risposta all'ansia d'essere che aggrapparsi ai miti e vestire vecchie storie, trasfigurandosi in un nome. Naufragano placidi, queste donne e questi uomini, che di rado concedono lo sguardo allo spettatore, e più spesso le spalle, sembrando dire o rimuginare: “credete davvero che accada davvero?”..